Il welfare aziendale è, e sarà sempre più, uno degli strumenti decisivi per i responsabili della gestione delle Risorse Umane, per rimotivare chi è in già in azienda e per attrarre nuovi lavoratori. Un’ulteriore conferma della centralità della voce “Incentivazione” nella corretta gestione dei rapporti di lavoro che viene direttamente dalla presentazione del 6° Rapporto Censis-Eudaimon sul Welfare Aziendale, dove si sottolinea come, in un mercato sempre più contraddistinto dalla sensazione di precarietà e da un certo distacco nei confronti della propria occupazione, proprio il welfare, se correttamente implementato, possa rivelarsi strategico sia sul fronte del coinvolgimento dei collaboratori sia su quello della capacità di risultare appetibili per i migliori talenti in circolazione.
Cose non da poco in particolare in un mercato del lavoro segnato dalla rarefazione dei lavoratori e dall’aumento conseguenziale della competizione tra aziende.
La fotografia del mercato del lavoro degli ultimi dieci anni, infatti, restituisce l’immagine di una situazione dove i giovani risultano sempre meno presenti (tra il 2012 e il 2022 gli occupati 15-34enni sono diminuiti del 7,6% e quelli con 35-49 anni del 14,8%), gli aumenti percentuali si concentrano solamente nelle fasce di età più avanzate (i 50-64enni sono aumentati del 40,8% e quelli con 65 anni e oltre del 68,9%) e dove le stime di previsione al 2040 parlano di una contrazione della forza lavoro complessiva dell’1,6%.
Nello stesso tempo il mercato del lavoro mostra molta più dinamicità rispetto al passato: si registra un aumento del 30% delle dimissioni nel corso del 2022 rispetto allo stesso periodo del 2019, così come a fare da contraltare un aumento del 6,2% alla voce inizio di nuovi lavori. Il 21,3% dei lavoratori italiani risulta comunque occupato con forme contrattuali non standard e la ricerca di forme meno precarie di lavoro è una delle bussole principali che orientano le scelte durante questo periodo di tempo, insieme ad una insoddisfazione diffusa verso la propria attuale occupazione.
Colpisce il dato relativo a quanti italiani lascerebbero il loro attuale lavoro. Stiamo infatti parlando del 46,7% degli intervistati, ed è un dato che deve essere considerato insieme a quello relativo alla motivazione che spinge ad alzarsi al mattino e recarsi al lavoro. Per il 64,4% degli occupati la spinta viene infatti solo e unicamente dal ricavare i soldi necessari per vivere e fare le cose che piacciono, senza altre motivazioni esistenziali.
Un distacco che va analizzato nel profondo, se davvero si vuole incidere, non solo a parole, sul coinvolgimento dei collaboratori. Le cause di tanto distacco provengono dalla difficoltà nel vedere una prospettiva di carriera, come sottolineato dalla maggioranza degli intervistati (ben il 65,0%), ma anche da stipendi non all’altezza delle esigenze individuali.
E se tutti questi numeri si vanno a guardare in maniera ancor più approfondita, si vede come le differenze aumentino, e non di poco, a seconda dei ruoli ricoperti. Se il 47,5% dei dirigenti ritiene di avere davanti opportunità di carriera, la stessa percezione al livello degli operai scende a un misero 21%. Se davvero il mondo HR vuole accettare la sfida e rendere per questi lavoratori apprezzabili i luoghi di lavoro e i rapporti con le rispettive aziende, l’investimento in welfare non appare più rinviabile.
Lo strumento del welfare aziendale si diffonde sempre di più tra gli occupati italiani, con il 64,9% degli intervistati che dichiara di conoscerlo (ma con solo il 19,8% che sa con precisione di cosa si tratti) e con apprezzamento diffuso da parte dei beneficiari. Riguardo alle tipologie di servizi e alle prestazioni maggiormente richieste dalla platea dei lavoratori, il 79,4% preferirebbe un supporto personalizzato, tagliato su misura rispetto alle proprie esigenze, il 79,2% maggiori opportunità di conciliazione tra vita familiare e lavoro, il 79,1% integrazioni del reddito, il 78,0% un aiuto per risolvere i problemi burocratici nel rapporto con le amministrazioni pubbliche, il 68,1% una consulenza psicologica per affrontare le difficoltà quotidiane. Se da un lato quindi l’integrazione degli stipendi è un’esigenza vissuta e sentita in maniera diffusa, lo è altrettanto il miglioramento della qualità della vita personale.
Ecco, dunque, che su tutto ciò si andrà a giocare una partita importante per le aziende. Come ben sottolineato nel Rapporto, farà la differenza chi saprà passare da “un modello verticale in cui l’azienda rileva e interpreta i bisogni dei lavoratori, decidendo di cosa si compone l’offerta di welfare aziendale, ad un modello più orizzontale, fatto di ascolto dei bisogni”.
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