Si è tornati ancora una volta ad avere il lavoro da remoto al centro degli argomenti di discussione di questi ultimi giorni, a causa intanto della recente proroga fino al 30 giugno 2023 per i lavoratori del settore privato con figli under 14 e per i lavoratori fragili, sia pubblici che privati, ma anche e soprattutto perché chiunque volga lo sguardo ai prossimi anni non può fare a meno di considerarlo come un argomento di importanza cruciale.
Quando infatti si pensa al futuro in termini di organizzazione, il lavoro da remoto e quello in forma ibrida sono inevitabilmente due tra i primi argomenti che vengono in mente. Eppure, sbaglia chi crede che tutto si limiti solamente al luogo fisico dove svolgere i propri compiti, perché la questione è molto ampia e profondamente interconnessa con aspetti fondamentali dell’argomento lavoro, tra i quali leadership, cultura aziendale, rapporto con la clientela, coltivazione del talento, formazione e apprendimento, riqualificazione e molto altro ancora.
Una delle questioni chiave è legata alla relazione tra il lavoro da remoto e la qualità delle relazioni tra colleghi. Stando ai dati del recente “Remote Work Culture Report”, condotto da Airspeed / Workplace Intelligence, oltre 9 dirigenti su 10 confermano come siano rilevabili difetti per ciò che riguarda la cultura aziendale e la connessione con gli altri membri per i lavoratori da remoto. Il 96% dei dirigenti dichiara di essere perfettamente consapevole di come una maggiore interconnessione tra colleghi porterebbe ad un aumento della motivazione e conseguentemente della produttività aziendale. Spostandoci sul fronte dei dipendenti, il 72% degli intervistati conferma di non essere in grado di socializzare in maniera soddisfacente a distanza.
Innegabilmente il mondo del lavoro odierno sta recependo l’importanza del coinvolgimento e della motivazione in relazione ai risultati in termini di produttività e qualità del lavoro. Poter disporre di lavoratori “ingaggiati” significa maggiore allineamento tra azienda e collaboratore riguardo a obiettivi e risultati, minor turnover e minor rischio di vedere elementi che cercano altrove migliori opportunità, maggiore tendenza all’aggiornamento continuo e all’aumento delle competenze.
In più, e da non sottovalutare in un contesto di grande competitività tra aziende, i collaboratori diventano i primi ambasciatori del brand aziendale. I progetti aziendali di “employee advocacy” – ovvero le azioni e i contenuti volti a valorizzare e migliorare il coinvolgimento interno e verso l’esterno dei dipendenti, attraverso ad esempio i canali social – sono inevitabilmente destinati a non avere grande successo in un contesto scollato, che abbia manifesti difetti in termini di partecipazione e stimoli.
Quale dunque la migliore ricetta per andare incontro alle richieste di flessibilità da parte della forza lavoro senza che sia l’azienda a doverne pagare le conseguenze? Innanzitutto, non spostando l’attenzione solamente sulla forza lavoro, ma investendo con decisione in un nuovo modello di leadership che consideri con attenzione tutti gli aspetti coinvolti nell’organizzazione del lavoro, per fare il bene del marchio aziendale.
Dalla ricerca “The Employer’s Report Card on the Future of Work”, condotta da BCG in 47 paesi, emerge chiaramente come al momento ci sia un problema legato a tale tipo di investimenti. Intanto, solo l’8% dei dirigenti intervistati afferma come il supporto verso i lavoratori da remoto sia effettivamente una priorità aziendale. Dalla ricerca emerge in modo chiaro l’importanza di una leadership forte e moderna per gestire al meglio i team di lavoro.
Eppure, solo il 15% degli intervistati riconosce come priorità aziendale la riqualificazione dei manager nell’ottica di guidare, ispirare e istruire le squadre di lavoro, così come solo il 20% vede cambiamenti significativi nella cultura aziendale e nei comportamenti degli elementi investiti della leadership per quel che riguarda argomenti come la flessibilità e l’agilità.
Numeri che confermano dunque come permanga il timore del potenziale impatto negativo sulla cultura aziendale della flessibilità, in particolare per ciò che riguarda il senso di inclusione e di appartenenza all’azienda da parte dei dipendenti, e si faccia fatica a prendere coscienza del fatto che, senza modifiche sostanziali a livello di leadership e organizzazione, ogni iniziativa risulterà solamente un tentativo abbozzato, buono magari per una fase di emergenza come quella vissuta negli ultimi anni, ma privo di una qualsiasi visione sul lungo termine.
Quella che invece è necessaria per pianificare la crescita dell’azienda.
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